LA TENTAZIONE (Gen 3,1-7)
1. INTRODUZIONE
Con questa scheda affrontiamo la lettura di un testo che è da un lato tra i più noti, dall’altro tra i più travisati della tradizione cristiana. Chi non ha sentito parlare della “mela” mangiata da Eva e del peccato che avrebbe dato origine a tutti i guai possibili e immaginabili che hanno colpito l’umanità?
Occorre fare molta attenzione; prima di tutto, è necessario leggere questo testo, e in generale l’intero capitolo 3, senza precomprensioni, senza pensare di sapere già tutto ciò che questo testo dice. Così, scopriremo, magari con nostra sorpresa, come il testo non parla né di mele, né di sesso, né di colpe che si ripercuotono sui figli.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che questo racconto, come tutto il testo di Gen 1-11, non è un brano di storia che vuole insegnarci che cosa hanno fatto i primi due uomini; il linguaggio qui utilizzato, come si è detto, è il linguaggio simbolico del mito e il racconto è certamente vero, ma nel senso che esprime una verità profonda sull’essere umano e risponde alla domanda che l’uomo si è sempre posto: perché il male?
Infine, non dobbiamo dimenticare che i capitoli 2 e 3 della Genesi formano un tutto ben compatto. Non è legittimo leggere il racconto del peccato dimenticandoci che prima ci è stato narrato il progetto positivo di Dio sull’uomo e sulla coppia (Gen 2 e anche Gen 1). Per troppo tempo la tradizione cristiana, insistendo sul tema del “peccato originale” ha trascurato il fatto che il testo genesiaco insiste sul progetto di Dio, descritto in Gen 2, che nessun peccato dell’uomo è capace di frantumare.
2. IL SERPENTE E LA DONNA (3,1-4)
II testo del capitolo 3 si apre presentandoci la figura del serpente, descritto come “la più astuta delle bestie selvatiche create dal Signore Dio”. Il testo gioca qui sul termine ebraico ‘arùm, “astuto”, che significa però anche “nudo”, come in Gen 2,24. In questo modo si comprende che l’astuzia del serpente è legata alla nudità dell’uomo, che diventerà un fattore negativo.
– Ma chi è questo serpente? Il diavolo, risponderanno in molti, abituati come siamo a vedere le statue della Madonna con il serpente sotto i piedi. In realtà, l’identificazione tra il serpente di Gen 3 e il diavolo è tardiva e si trova soltanto nel libro della Sapienza (Sap 2,24) scritto alla fine del I sec. a.C., e nel capitolo 12 dell’Apocalisse, nel Nuovo Testamento. Nel testo genesiaco non c’è alcun cenno diretto al fatto che il serpente sia il diavolo.
Per capire bene questa misteriosa figura, occorre ricordarci che il testo genesiaco utilizza il linguaggio del mito. Ora, in un celebre mito dell’Oriente antico, il mito di Ghilgamesh, l’eroe che ne è il protagonista, Ghilgamesh, si reca nel giardino degli dèi, l’equivalente biblico del giardino dell’Eden, in cerca dell’albero della vita. Ma un serpente impedisce a Ghilgamesh di cogliere il frutto dell’albero, perché la vita è riservata agli dèi, mentre per gli uomini è decretata solo la morte. Il serpente è un animale misterioso e pericoloso, che già nel mito di Ghilgamesh appare come una potenza ostile all’uomo – e, nel caso di Ghilgamesh, alleata addirittura degli dèi, che vogliono impedire all’uomo di mangiare l’albero della vita e diventare simile a loro. Nel racconto della Genesi, invece, l’uomo può mangiare del l’albero della vita; il serpente non è alleato degli dèi, ma è chiaramente nemico di Dio e spinge l’uomo verso il secondo albero, quello della conoscenza del bene e del male, che manca nel racconto di Ghilgamesh, con il quale il nostro testo instaura perciò un rapporto polemico.
C’è di più: il serpente è connesso nel mondo del tempo con la magia e con la religiosità cananaica; il serpente può rappresentare perciò la tentazione dell’idolatria, che è una costante della storia d’Israele. Il serpente, nel racconto genesiaco, non è un dio, è invece solo una creatura; è l’espressione del rischio corso più volte dal popolo: sostituire il Creatore con l’adorazione della creatura, l’idolo.
Infine, introducendo la figura del serpente, il narratore ci vuol suggerire che l’origine del male non è da vedersi in una fatalità o in un capriccio divino, ma nasce dal peccato degli uomini; allo stesso tempo c’è un mistero del male che è più grande degli uomini stessi e ne supera la comprensione; ecco l’ambiguità della figura del serpente ed ecco il motivo per cui la successiva tradizione ebraica e cristiana vi vedrà la figura del demonio.
– Il serpente si dimostra davvero astuto e, parlando alla donna, fa nascere in lei il sospetto che Dio sia un bugiardo, che vuole imbrogliare l’uomo e togliergli la sua libertà. E ottiene questo risultato combinando mezze verità con abili modifiche al discorso divino. Intanto, scompare il nome di Dio, “Signore”; Dio per il serpente non è più “il Signore Dio”, ma una astratta divinità senza nome. Il serpente prende le distanze da lui. Inoltre, il serpente vuoi far credere alla donna che dietro una apparente concessione (ciò che Dio ha detto all’uomo in Gen 2,16-17) è nascosto un reale divieto: Dio, in realtà, non vuole che gli uomini mangino i frutti degli alberi del suo giardino. Il serpente è un astuto maestro del sospetto: Dio odia la sua creatura e fa soltanto finta di lasciarla libera. In realtà è geloso del fatto che l’uomo possa diventare simile a lui!
La donna, da parte sua, cade nella trappola, proprio nel momento in cui si illude di poter difendere Dio: anche lei non lo chiama più per nome (“Signore”) e si permette di modificarne le parole. Infatti scopriamo come non sia affatto vero che Dio abbia posto un divieto sull’albero che sta “in mezzo al giardino “; alla luce di Gen 2,8-9 quest’albero “in mezzo al giardino” è in realtà l’albero della vita e di quest’albero l’uomo può mangiare! La donna sta confondendo i due alberi e pone “in mezzo al giardino” l’albero della conoscenza del bene e del male; inoltre, Dio non ha detto che quest’albero non può essere “toccato”, ma soltanto che non è possibile mangiarne i frutti. Che cosa ci sarà mai di straordinario in quest’albero? La donna è in realtà caduta nella trappola del serpente e inizia a vedere Dio come un ostacolo alla propria libertà.
3. SARETE COME DIO (Gen 3,5-7)
Di fronte alla risposta della donna, il serpente torna alla carica: Dio mente, “voi non morirete affatto”. Nelle parole del serpente appaiono i desideri più grandi che l’uomo si è sempre illuso di realizzare: la vita per sempre (“non morirete affatto!”), il mettersi al posto di Dio (“sarete come Dio”) e il sapere tutto (“i vostri occhi si apriranno”), decidendo da soli della propria felicità (“conoscerete il bene e il male”).
Qui sta la vera radice di ogni peccato dell’uomo: il desiderio di realizzare se stesso al di fuori di un rapporto con Dio, sentito come un limite alla propria libertà. Non si tratta tanto di disubbidienza, quanto del rifiuto di una libertà che trova in Dio il proprio significato. E per di più, alla luce di Gen 1,26, il testo è persino ironico: l’uomo, infatti, è già come Dio, è creato a sua immagine e a sua somiglianza; in realtà, l’uomo vuole sbarazzarsi di un Dio ritenuto scomodo e persino geloso.
– Il serpente è riuscito nel suo intento e la donna mangia così il frutto proibito, offrendolo poi all’uomo, che neppure pensa di discutere con lei. Il v. 6 osserva come l’albero fosse appetibile, bello e desiderabile per acquistare saggezza. Sono le tre tentazioni che ritroverà Gesù nel deserto (Mt 4,1-11) e alle quali accenna la prima lettera di Giovanni (IGv 2,16): la tentazione dei beni terreni (l’albero è buono da mangiare, appetibile), quella della sensualità e dell’apparire (l’albero è bello) e quella, sottile, del potere e della conoscenza. L’uomo stravolge il senso della creazione; invece di ammirarla e ringraziare il Signore, se ne appropria e la riduce a un oggetto.
– Il v. 7 ci descrive la prima conseguenza del peccato, che è certamente una sorpresa: la scoperta della propria nudità. Eppure l’uomo e la donna erano già nudi (Gen 2,24). Ciò di cui essi si accorgono è che adesso, dopo aver distrutto il rapporto con Dio, l’altro ci mette paura e non si è più in grado di accettarlo così com’è, nella sua povertà e nella sua umanità. La stessa sessualità assume un volto negativo e l’uomo cerca di nascondersi usando la propria abilità tecnica, intrecciando foglie di fico. Il serpente aveva ragione; gli occhi dei due si sono aperti, ma la scoperta è terribile: l’altro è diventato un nemico dal quale nascondersi.
PER APPROFONDIRE
Perché il serpente parla alla donna? La tradizione ebraica, e, in seguito, quella cristiana, ha dato una spiegazione decisamente misogina. Secondo un midrash* ebraico sulla Genesi “il serpente aveva ragionato così: se vado da Adamo, io so che non mi ascolterà. Andrò da Eva e so che mi ascolterà perché le donne sono curiose e attente e più facilmente cedono alla seduzione”. I padri della Chiesa, invece, seguendo anch’essi tradizioni ebraiche, non di rado leggeranno la tentazione proveniente dal serpente in chiave sessuale e quindi ancora in questa chiave interpreteranno il peccato della donna, attribuendo ad essa ogni responsabilità e creando così la nota antitesi Eva-Maria. In realtà, nel testo genesiaco, la donna, interpellata per prima, è in qualche modo considerata più responsabile dell’uomo ed è lui che si mostra più debole e facilmente raggirabile.
*Midrash: forma letteraria molto usata nell’ebraismo, specialmente nei primi secoli della nostra era; dal verbo darash, “cercare”, il midrash è una sorta di commento alle Scritture dove il testo sacro viene nuovamente raccontato, alla luce di testi biblici precedenti e alla luce della situazione nella quale si trovano gli ascoltatori; il midrash, che solo in apparenza sembra un’invenzione, è così un racconto che nasce dalla convinzione che la Parola di Dio è sempre efficace e vale per ogni situazione.
PER RIFLETTERE INSIEME
1 | Gen 3,2−3 |
Alle parole di provocazione del serpente la donna risponde riferendo, cambiate, le indicazioni date dal Signore Dio. Rileggiamo questi primi versetti mettendoli in parallelo con l’episodio di Gesù nel deserto (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). La donna cede alla tentazione tradendo la Parola ricevuta, Gesù trova sostegno proprio nella Parola di Dio. |
2 | Gen 3,2−3 |
Il processo di rifiuto della Parola è iniziato e nulla potrà fermarlo; esso porterà alla disobbedienza. Anche oggi la Parola di Dio ci interroga e ci mette davanti a scelte impegnative che obbligano a opporsi alla logica di questo mondo. Riusciamo a fare un profondo discernimento o ci sentiamo bloccati davanti a sollecitazioni che ci chiederebbero di cambiare il nostro modo di vivere? Quali criteri che ci vengono dall’educazione ricevuta o dalle tradizioni condizionano le nostre scelte e ci impediscono di accogliere con radicalità la Parola di Dio? |
3 | Gen 3,4 |
Per raggiungere il suo obiettivo il serpente non compie un’azione di forza, ma insinua il dubbio nella donna. Ella si lascia convincere dal serpente che le prospetta un Dio egoista e geloso del suo potere. Abbiamo mai dubitato di Dio e della sua identità? Come reagiamo nei momenti di tentazione, quando è messa in dubbio la nostra conoscenza del volto di Dio? |
4 | Gen 3,5 |
Il serpente promette all’uomo che diventerà come Dio. In realtà questo è proprio il progetto di Dio: Egli vuole che noi diventiamo Dio, non per nostra conquista, ma per suo dono. Leggiamo i testi del Nuovo Testamento in cui questo ci viene presentato: Rom 8,29; Gv 1,12; IGv 3,1-2. |
5 | Gen 3,4−5 |
“Non morirete”. È questo l’orizzonte che il serpente suggerisce alla donna: eternità, onniscienza, onnipotenza. È una speranza insita nell’uomo di tutti i tempi, ma il mondo contemporaneo pare portare avanti in maniera maniacale queste tre promesse fatte dal serpente: divenire eterni, conoscere tutto, non porre limiti alla mente umana. Come può un cristiano rispondere intelligentemente e non con slogan a chi ritiene che questi tre obiettivi giustifichino qualsiasi azione? E giusto porre limiti alla scienza? Come possiamo far capire che il vero Signore del mondo non è l’uomo, ma Dio? |
Cfr. anche Catechismo degli Adulti: ‘La verità vi farà liberi’:
nn. 908-910 appello di Dio responsabilità dell’uomo; 926-930 il peccato; 389-400 il peccato originale
PER LA PREGHIERA
“Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della Legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (Sl 1,1-2). Non è facile rimanere saldi nel Signore, senza cedere alla tentazione di invidiare e seguire i malvagi a cui tutto sembra andar bene. Eppure anche noi, come il salmista, possiamo giungere alla conclusione che la felicità degli empi è solo un’illusione e il vero bene è star vicino a Dio.
Dal Salmo 72
Quanto è buono Dio con i giusti
con gli uomini dal cuore puro!
Per poco non inciampavano i miei piedi,per un nulla vacillavano i miei passi,
perché ho invidiato i prepotenti,
vedendo la prosperità dei malvagi.Non c’è sofferenza per essi,
sano e pasciuto è il loro corpo.
Non conoscono l’affanno dei mortali
e non sono colpiti come gli altri uomini.Dell’orgoglio si fanno una collana
e la violenza è il loro vestito.
Esce l’iniquità dal loro grasso,
e dal loro cuore traboccano pensieri malvagi.Scherniscono e parlano con malizia,
minacciano dall’alto con prepotenza.
levano la loro bocca fino al cielo
e la loro lingua percorre la terra.Perciò seggono in alto
non li raggiunge la piena delle acque.
Dicono: “Come può saperlo Dio?
C’è forse conoscenza nell’Altissimo?”.Ecco, questi sono gli empi:
sempre tranquilli, ammassano ricchezze.Invano dunque ho conservato puro il mio cuore
e ho lavato nell’innocenza le mie mani,
poiché sono colpito tutto il giorno,
e la mia pena si rinnova ogni mattina.Riflettevo per comprendere:
ma fu arduo agli occhi miei,
finché non entrai nel santuario di Dio
e compresi qual è la loro fine.Ecco, li poni in luoghi scivolosi,
li fai precipitare in rovina.Come sono distrutti in un istante
sono finiti, periscono di spavento!
Come un sogno al risveglio, Signore,
quando sorgi, fai svanire la loro immagine.Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai con la tua gloria.Ecco, perirà chi da te si allontana,
tu distruggi chiunque ti è infedele.Il mio bene è stare vicino a Dio:
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio