Di grande rilievo fu, nei primi anni del XX secolo, la figura del Sacerdote Cavalier Ufficiale Primo Mojana.
Nato a Como nella parrocchia di san Donnino il 7 dicembre 1882, fu ordinato sacerdote il 9 giugno 1906. Subito dopo l’ordinazione, venne nominato vicario di san Giorgio in Borgo Vico e incaricato di prestare servizio anche a Tavernola, dove esisteva la chiesa di san Bartolomeo nelle Vigne.
Subito dopo l’appello ai “Liberi e Forti” di don Luigi Sturzo (18 gennaio 1919), anche a Como don Primo Mojana con un gruppo di laici, appartenenti all’Azione Cattolica, fondò il Partito Popolare Italiano di cui fu segretario provinciale. I popolari comaschi erano intransigenti sia nei confronti di un aggressivo socialismo anticlericale sia del movimento fascista, particolarmente violento fin dall’inizio. I cattolici popolari furono sostenuti sia dal quotidiano “L’Ordine”, fondato il 16 agosto 1879, per iniziativa del vescovo Carsana, sia dal settimanale “La vita del popolo”, organo del PPI, di cui don Mojana fu direttore.
Contro i cattolici fu pubblicato dai fascisti il “Gagliardetto” il 17 aprile 1921, in preparazione alle elezioni politiche indette per il maggio successivo. Le suddette elezioni politiche decretarono un successo del PPI con 4 deputati alla Camera nel Collegio di Como-Sondrio-Varese.
Nel frattempo il Partito fascista sosteneva la liceità della violenza contro i socialisti e i popolari. Dal “Gagliardetto” partirono accuse volgari nei confronti di don Mojana, a cui si rimproverava di far politica, pur essendo in cura d’anime, per tutelarsi con l’abito sacerdotale. Il 6 settembre 1922 il sacerdote, che fu anche redattore sia dell’ “Ordine” sia dellla “Vita del Popolo”, venne aggredito nella sede del quotidiano e denigrato violentemente, perché si sarebbe fatto scudo dell’antifascismo per mantenersi uno stipendio. Fu la prima delle violenze di cui fu oggetto don Mojana che, qualche tempo dopo, fu assalito da un gruppo di fascisti in Piazza Duomo e contro di lui fu gettato anche del vetriolo, che lo danneggiò non poco.
Il 25 febbraio 1926 fu condannato a tre anni di confino, che scontò prima a Montemezzo, poi a Lauria Inferiore, in Basilicata, fino al marzo 1927. Singolare la circostanza della sua liberazione avvenuta per un intervento di Margherita Sarfatti, abitante in una villa di Cavallasca, amante di Mussolini, alla quale si rivolse il vescovo mons. Adolfo Luigi Pagani.
A don Primo, rientrato a Como, fu impedito di fare politica e nel 1933 fu nominato segretario dell’Ufficio missionario diocesano. Ammalatosi nel 1938, morì a Como nella Casa di Valduce il 6 giugno 1939. Aveva 56 anni. Il reticente necrologio de “L’Ordine” tralasciò di ricordare il suo impegno politico e le sue vicissitudine, provocate dai fascisti. Evidente la censura di Stato!
Sacerdote dinamico, attento ai problemi della Gioventù, fondò in Borgo Vico la società sportiva “Ardisci e spera”. Fu oggetto di molte calunnie, che sopportò in silenzio.
Ebbe il merito di dar vita al movimento dei cattolici popolari insieme ad un altro borghigiano sindacalista e amministratore comunale: Abbondio Martinelli.
La sua figura andrebbe ricordata con evidenza maggiore sia a san Giorgio sia in città per la sua limpida intelligenza e per la sua generosa carità.